mostre

Mario Schifano. Doppio sguardo

Dal 20/09/2003 al 31/10/2003
Galleria Boxart, Verona

DOPPIO SGUARDO  

(presentazione di Achille Bonito Oliva)

Non deve sembrare strano se, parlando d’arte e di un artista, parto da un doppio assunto di Musil che recita precisamente: “Occasionalmente noi siamo tutti stupiti, e dobbiamo occasionalmente agire da ciechi o semiciechi, altrimenti il mondo si fermerebbe” e “Agisci bene quanto puoi e male quando devi, e sii frattanto cosciente dei limiti del tuo operare” (discorso sulla stupidità). L’arte contemporanea nei suoi esiti ha progressivamente adottato la morale di una sana ambiguità giocata tra scetticismo e utopia. In tal modo ha sviluppato una tensione strabica del fare che ha dato scacco al perbenismo della visione chiara delle cose, alla trasparenza della pura volontà.
Le motivazioni del fare sono sempre molteplici, le pulsioni di ogni azione sono il portato di spinte intrecciate, di impulsi. La finalità economica dell’agire si accompagna a quella di un’economia interna che risponde ad altri ordini di spiegazioni.
L’arte è il campo eccellente di tale morale ambigua nei termini non soltanto di rappresentazione, ma anche della spinta iniziale al lavoro creativo. Un indispensabile dispendio di energia presiede alla fondazione di un’immagine che sembra non rispondere a nessuno scopo, se non a quella di assecondare la pulsione del suo creatore. Il risultato è la trasformazione della “quantità” del gesto nella “qualità” della forma, la modificazione di segno dunque di un lavoro realizzato mediante gli attrezzi tecnici del linguaggio dell’arte.

L’artista Mario Schifano lavora dentro il recinto delimitato dell’arte, con gli strumenti di un linguaggio che storicamente producono tale trasformazione, quella indicata idealisticamente dalla storia dell’arte che permette il passaggio dalla quantità alla qualità. 
L’artista è cosciente di trovarsi di fronte a una produzione specifica, separata da altri sistemi produttivi e standardizzati spinti da interessi puramente economici e senza secondi fini. L’economia moderna è retta da una visione chiara, quella universale e tipica della società di massa ad alto tasso tecnologico mai stanco della riproduzione modulare.
L’arte per definizione stabilisce un confronto con la realtà esterna proprio a partire dal riconoscimento del non valore di questa. L’arte è l’artefice di una produzione artigianale che lo segnala nella sua differenza emblematica. Generalmente egli è orgoglioso dell’unicità della sua avventura, in quanto portatore di un atteggiamento individuale e irripetibile. Tale orgoglio diventa la cifra che accompagna l’arte e l’artista contemporaneo.

Mario Schifano nel corso della sua quarantennale avventura creativa ha sentito tutto questo inadeguato come risposta al proprio tempo e ha adottato il paradosso di Musil per rovesciare dall’interno il carattere costitutivo della creazione artistica. Egli ha compreso che non si può fermare il mondo, sarebbe idealistico e impossibile, pertanto ha deciso di assumere un ritmo che non lo tiene avulso da quello della realtà, giocato sulla velocità e sulla rapacità della quantità.
Pertanto ha sviluppato un lavoro che ha avuto sempre rispetto dell’”occasione”, della circostanza esterna che determina gli accadimenti dell’esistenza.
Schifano ha capito che essere artista moderno significa innanzitutto essere uomo moderno, proprio nel senso musiliano del termine, di colui che cioè non si sottrae agli inviti della vita ed è consapevole dell’occasionalità di una vita non pianificabile. Se l’arte contemporanea ha sviluppato una strategia di avvicinamento verso la vita, seppure nella coscienza dei propri strumenti specifici, ecco che allora l’artista cerca non tanto di segnalare la sua differenza preziosa quanto piuttosto di trovare un punto di contatto con essa. E il punto di contatto non può che essere quello della produzione, in una società come quella attuale vissuta sotto il segno di una cultura occidentale che privilegia il fare.

Il paradosso sta nel contrapporre il fare, ma nel caso dell’arte di Schifano, il fare creativo con il suo linguaggio, a quello dell’esistenza che pure parla con altri linguaggi, quelli automatici e veloci dei mezzi di riproduzione meccanica. Ma l’artista romano non contrappone soltanto semplicemente la riproduzione, ma tecnica e tecnologia, le sue immagini particolari a quelle massificate del sistema sociale.
Vari procedimenti ha adottato Schifano nel suo lungo lavoro, ma tutti giocati sulla 
possibilità di rimanere a stretto contatto con l’esterno.
Qui si è fatto assistere dalla velocità, dalla disciplina e dall’improvvisazione, dall’occasione e dall’ispirazione, dallo sguardo limpido e da quello “cieco” e “semicieco”, dunque da tutte quelle condizioni che presiedono la vita nel suo formarsi aperto e precariamente vitale.

Così l’opera di Schifano non si è sviluppata lungo il percorso lineare e astratto che porta dalla quantità alla qualità, bensì lungo il campo di una circolarità che ha riportato la quantità qualitativa a qualità. Questo significa per lui essere artista moderno, artefice di un’opera che vive incessantemente i ritmi stessi che reggono la storia.
Un altro artista, in un altro contesto, ha svolto la stessa parabola creativa: l’americano Andy Warhol. Questi ha realizzato un’opera compatta, assistito dall’avanzato sviluppo tecnologico della società americana, che gli ha permesso un’incidenza fuori del campo delimitato dell’arte, con una misura di oggettività e neutralità, portato antropologico della condizione della tecnica.

La ripetizione meccanica dell’immagine seriale è diventata nell’opera di Warhol carattere specificatamente linguistico, capace di parlare rigorosamente all’esterno dell’arte con le stesse cadenze interne. In questo senso la quantità dei lavori realizzati non è stata mai eccessiva, in quanto la ripetizione è per definizione senza memoria dell’immagine precedente: la macchina non ha memoria. 
Con Warhol si arriverà nel tempo, con le sue immagini, allo stesso rapporto che abbiamo con le cattedrali gotiche che esistono a prescindere dall’anonimato dei suoi costruttori, che in ogni caso rappresentano, con gli infiniti affreschi al loro interno, interamente il loro tempo.
Con il suo ritorno a quantità l’opera di Warhol possiede un altro carattere di classicità rispetto alla civiltà americana. Schifano è artista europeo, italiano. Con altri strumenti deve affrontare l’essere del proprio tempo in un contesto sostenuto da un’altra mentalità e da un diverso sviluppo tecnologico. Se il sogno di Warhol è stato quello di voler essere una macchina, quello di Schifano è quello di essere la pittura, portata nella condizione di mass-medium.
Per lui essere moderno significa adattare tale mezzo, con tutta la storica aura, al carattere quantitativo della nostra epoca. Per questo ne ha accompagnato l’uso mediante un’accanita sperimentazione e contaminazione linguistica, secondo un’idea di esperimento che connota il portato della tecnica.

Accelerare il ritmo artigianale della pittura, catturare dentro di essa frammenti d’immagini balenate attraverso i massmedia significa riportare le motivazioni del fare, del fare arte, in uno spazio più ampio e sociale, quello della storia esorbitante dell’ambito specifico. “Agire bene” e “agire male” sono azioni separabili soltanto nell’ottica finalizzata di un progetto che richiede la chiarezza della decisione univoca. L’arte al contrario si muove nello spazio ambiguo della moralità musiliana, nell’intreccio della possibilità che si determina volta per volta a seconda dell’occasione.
Dipingere “bene” e dipingere “male” non costituisce il problema di fondo di Schifano che conosce naturalmente bene le tecniche della pittura. Piuttosto, se egli vuole porsi come il medium, il fine di questo è la produzione. Sottrarsi alla tirannia compiaciuta del controllo esecutivo, essere cieco e semi-cieco, non contemplare il proprio risultato, ma scavalcano in un’ulteriore tensione produttiva.
Ecco l’equazione creativa di Schifano, artista moderno (quantità, qualità e poi quantità), l’itinerario materialista di un artefice di immagini che crede nell’assunto “il tempo è denaro”, nel valore simbolico di uno scambio che dà statuto di esistenza all’arte.
Per Schifano essere artista significa fare l’artista. Che significa poi uno sguardo all’arte e due alla vita, dunque avere un doppio sguardo a regola d’arte è stato il destino di Mario Schifano.
 

Achille Bonito Oliva

Inaugurazione