mostre

The Gao Brothers

Curata da Luca Beatrice
Dal 07/07/2007 al 29/09/2007
Galleria Boxart, Verona
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Naked China - di Luca Beatrice

Prima ancora dei fatti di piazza Tienanmen l’ingresso della Cina nell’era contemporanea è segnata da una vera e propria rivoluzione nel modo di rappresentare il corpo. Inizialmente, come ogni dittatura, anche il maoismo utilizzava parziali nudità (di uomini e di donne) per evidenziare la tonicità atletica, l’armonia muscolare, in una rilettura orientale dell’ellenistico “kalos kai agatos”. Negli anni ’80 le ragazze in bicicletta tirano su le gonne e mostrano le gambe, mentre fanno scandalo le prime foto discinte di campionesse di body building, subito sequestrate dalla polizia. Nel 1989 a Pechino “venne allestita la prima mostra della storia cinese di pitture a olio di nudi. E anche quella volta si arrivò assai vicino a disordini e sommosse, tanta era la gente che voleva vedere i dipinti di donne nude, code lunghe chilometri ogni giorno davanti alla galleria d’arte moderna” (1).
Oggi che la nudità è diventata parte integrante dell’estetica estremorientale, alcuni la interpretano come una forma di ribellione nei confronti di un paese alla ricerca della propria modernità. Nella Cina contemporanea vanno di moda le coppie di giovani sposi fotografati nudi per un proprio album privato, le maratone senza veli, il materiale similpornografico da immettere in rete e, naturalmente, i primi interventi di chirurgia estetica il cui modello femminile è assimilabile a quello delle Barbie.

Su questi temi l’arte è arrivata con largo anticipo rispetto al costume sociale. I primi artisti emersi nella Cina di Deng Xiaoping utilizzavano il corpo per una ragione più utilitaristica che estetica: non avendo denari da spendere nell’acquisto di strumenti scelsero l’unico che non costava nulla ma con cui, paradossalmente, avrebbero potuto dire qualsiasi cosa. La nudità nell’arte segna in Cina l’ingresso nell’era contemporanea quando già in occidente la performance era giunta alla sua fase critica, per certi versi terminale. Rispetto alla nostra cultura del corpo ci sono diverse differenze storiche. Nel suo periodo aureo la body art si pone come la forma più oltraggiosa e trasgressiva di rappresentazione, contro la società, contro il potere, contro il benpensantismo borghese, contro ogni regola scritta e accettata. E’ situata al culmine dello storico processo di smaterializzazione dell’arte: non più quadro, scultura, oggetto, neppure concetto, il corpo presume il consumarsi di un evento come a teatro.

Ha bisogno del pubblico e di creare l’effetto shock: automutilazione (Gina Pane, Rudolph Schwartzkogler), sfida alle leggi di gravità (Chris Burden), resistenza (Marina Abramovic e Ulay), rivendicazione di una sessualità altra (Carole Schneeman, Valie Export) legata ai movimenti femministi e gay, ai raduni giovanili (da Woodstock a Parco Lambro). La performance negli anni ’70 sottintende l’utopia di una nuova e diversa elaborazione sociale quando l’Europa, soprattutto l’Italia, è minata dal terrorismo e dagli scontri politici, che in molti credono possibile (auspicabile) l’alternativa di un comunismo, seppur sui generis, al posto di una magari imperfetta democrazia. Di contro, quando si manifesta l’uso del corpo nei primi artisti cinesi dopo Tienanmen, in particolare nei lavori pionieristici di Ma Liuming, una sorta di androgino che passeggia nudo sulla muraglia, l’atto simbolico è non tanto quello liberatorio, quanto la possibilità di mostrarsi, attraverso scatti fotografici che ne avrebbero testimoniato l’esistenza nel mondo, abbattendo con un gesto simbolico quell’isolamento in cui sono nate e cresciute le generazioni prima di loro.

Dagli anni ’90 in poi, in Europa e negli Stati Uniti la body art ritorna in auge con una serie di prove estetizzanti, figlie della crisi di valori che attanaglia il nostro mondo. Finita l’era dell’utopismo ideologico, spentosi il bisogno di opposizione, la nuova performance occidentale utilizza il corpo come cassa di risonanza simbolica della società postcapitalistica soffocata dalla sua stessa opulenza. Non a caso malattie e disturbi dell’alimentazione –bulimia e anoressia- sono i temi più gettonati, soprattutto nelle opere di artiste donne. Al contrario, nei paesi in cui si respira l’aria del nuovo, dove l’economia è trainante e lo sviluppo palpabile giorno dopo giorno, il corpo vive un’esaltazione ormai sconosciuta da noi, a ovest. E’ lo strumento, il linguaggio, con il quale è possibile relazionarsi agli altri. Ha dichiarato Yang Fudong, uno degli artisti più rappresentativi della new wave cinese: “Viviamo in grandi città, nascosti nel nostro piccolo angolo, ed è persino probabile che qualcuno sappia della nostra esistenza. Ma malgrado tutto siamo parte della città, siamo noi e come noi tanti altri a costruirla” (2).

Attivi fin dal 1985, quindi pionieri nel sistema dell’arte contemporanea in Cina, i Gao Brothers si esprimono con una varietà di mezzi e una eterodossia linguistica del tutto fuori dal comune. Performance, fotografia, pittura, scultura, azioni land, manipolazioni digitali: nell’infinita gamma dei loro lavori è possibile ripercorrere la storia moderna del Paese. La loro opera manifesto, quella che li ha resi un fenomeno popolare, è certamente Miss Mao, il busto commemorativo che unisce con disinvoltura l’icona cinese per eccellenza contaminata dal “fantasma” della disneynizzazione occidentale. Assai ricorrente in realtà a lungo soffocate e oppresse dal sistema politico,  l’utilizzo di ironia, leggerezza, naivetè, gusto camp, sarcasmo, Miss Mao sottolinea la perfetta sintesi di due sistemi convenzionali, entrambi ideologici (il comunismo e il pop) che accomunano, più che differenziare, l’ovest e l’est.

La poetica dei Gao è fortemente trasgressiva non soltanto per il ricorso alla nudità, ma soprattutto per l’abbattimento, attraverso il gesto del contatto, dell’abbraccio, della coabitazione in spazi ridottissimi, del mito collettivista per cui l’uomo in quanto individuo non vale nulla ma è soltanto un numero al servizio del sociale. Diverse delle loro serie fotografiche, spesso testimonianze di performance, hanno per tema l’abbraccio. The Utopia of the 20 Minutes Embrace impone, fin dal titolo, un differente concetto applicato alla parola utopia, che riguarda la libertà del singolo, il riconoscersi in quanto soggetto e non specie. Ancor più simbolico l’intervento Embrace on the Great Wall, affidato a giovani uomini e donne nude, una sorta di ritorno al luogo simbolo fuori dal tempo e dallo spazio. Se Embrace è un abbracciarsi in senso lato, Hug! Hug! richiama unicamente la sfera fisica e sessuale, la consapevolezza con la richiesta di tale gestualità finalmente libera di aver varcato la normale soglia del pudore.

Alcune di queste azioni sono state realizzate - i Gao non si definiscono performer, ma piuttosto artisti relazionali: “non importa che sia presente il pubblico –dicono- siamo più interessati al coinvolgimento della gente e alla sua partecipazione, all’occasione dell’evento e alle sue relazioni più diffuse nella sfera sociale e culturale” (3), pagando delle persone per interpretarne il rito, con una modalità che ricorda da vicino quella di Santiago Sierra: ma mentre lo spagnolo presenta un campionario di esseri borderline chiamati a procrastinare il loro ruolo traumatico nel sociale, il duo cinese si rivolge al positivo, recupera i valori irrinunciabili per il singolo, per l’affermazione della propria identità, cosa che avviene anche negli spazi stretti dove le persone sono chiamate alla ritualità della preghiera, a sopportare ansia, attesa, pena.

Come molti altri artisti cinesi anche i Gao dedicano attenzione particolare al corpo nudo, all’esibizione di organi sessuali proibita fino in tempi recenti, e diventato ormai fenomeno ricorrente anche nel costume. Non ultimo, il nudo consente di scoprire la strada orientale verso la bellezza e l’armonia, concetti a lungo sepolti dall’ossessione per il pudore.
Il più recente stacco stilistico i fratelli Gao lo hanno realizzato attraverso la scoperta del digitale, manipolando paesaggi, inventando scenari inediti, slittamenti nel tempo e nello spazio, senza mai perdere di vista la necessità intrinseca al loro lavoro, senza mai scivolare nel giochetto dell’invenzione fine a se stessa. Non a caso una delle loro opere digitali più importanti, e spettacolari, è Trope of Body - All the Mountain (2005), remix del manifesto dell’arte cinese contemporanea: To Add One Meter to an Anonymous Mountain, la fotografia della performance realizzata nel 1995 dagli artisti del Bejing East Village. Lì dove è cominciata questa straordinaria storia.

note
1. Renata Pisu, “Estetica spudorata”, in D. La Repubblica delle donne, sabato 2 giugno 2007.

2. Out of the red. La nuova generazione emergente dei fotografi cinesi, Damiani editore, Bologna 2004.

3. Chen Yuxia, “We are not performance artists. An interview with the Gao Brothers”, in Gao Brothers 1985-2005, Hunan Fine arts Publishing House of China, Bejing 2005.

Inaugurazione