Intervista a Kim Joon
Kim Joon, l’ultimo della tattoo tribù
di Beatrice Benedetti
E’ una storia singolare quella del tatuaggio in Asia. Il corpo decorato - con motivi più o meno realistici - è figlio delle migrazioni tra Corea e Giappone. Ma la percezione sociale del tattoo, segue una rotta del tutto opposta, nella storia del Sol Levante.
I manuali concordano nel datare al periodo Yayou (300 a.C.-300 d.) gli albori del marchio sul corpo. Tradizione e pratica comune tra le donne dei nativi Ainu era quella di esporre un tatuaggio dopo le nozze per dichiarare la propria condizione sociale. Trascorsi secoli dall’antico status symbol, il tatuaggio diviene inviso alla società nipponica sotto l’influsso cinese, tra XVII e XIX secolo: l’evoluta intellighenzia di Pechino considerava l’usanza un atto barbaro e un retaggio tribale.
Il resto dell’epopea del tatuaggio nel mondo orientale coincide più o meno con l’ambiguità che lo circonda in questo preciso momento storico. Sia in Occidente che nella Corea di Kim Joon. Contro questa ambiguità si ripropone di combattere l’artista di Seoul. L’intento è liberare per sempre il disegno sul corpo dall’alone di "cattivo gusto", o, talvolta, d’illegalità. Il caso più eclatante, coinciso col colpo di grazia dato al tatuaggio, è stata la prassi degli affiliati alla Yakuza, la mafia giapponese, di tatuarsi viso e corpo come segno di appartenenza. Seppure lo stesso accade anche in Europa, Usa e America latina, nell’inflessibile società orientale i divieti e le restrizioni per chi sfoggia un dragone sul bicipite sconfinano fino alla culla del body painting nel Far East: la Corea. Pur nell’accelerata evoluzione dei costumi, sradicare i pregiudizi non è facile. Così terme e centri benessere a Tokyo come a Seoul, negano tuttora l’accesso a persone tatuate. Sul fronte opposto - il fenomeno è diffuso in ogni comunità – il senso di “trasgressione” legato ai motivi indelebili sul corpo non smette di affascinare, in Asia e nel nostro continente.
Per Kim Joon la pratica racchiude un indecifrabile aspetto mentale e spirituale.
Beatrice Benedetti: Nella tua biografia dichiari che la passione per il tatuaggio deriva da tre anni spesi per il servizio militare. Cosa ti è rimasto impresso di quel periodo?
Kim Joon: A causa di un difetto della vista, ho dovuto sostenere un servizio militare ridotto, anziché portare a termine il mandato regolare. Allo stesso modo, in Corea se i tatuaggi sul corpo superano una certa percentuale, devi prestare un servizio ridotto. Così sono venuto in contatto con persone tatuate a cui era stato assegnato un servizio a tempo determinato. Durante il periodo trascorso con loro e discorrendo del motivo per cui ci si tatua, ho cominciato a interessarmi all’aspetto mentale del tatuaggio.
Beatrice Benedetti: Dai tatuaggi realizzati artigianalmente per gli amici alle foto di corpi virtuali tatuati. Un percorso lento, quasi insospettabile...
Kim Joon: Non l’ho mai pensato.
Beatrice Benedetti: Come realizzi le tue immagini? E’ un body painting reale? O è solo una tecnica grafica, dove prevale la capacità di usare il mezzo digitale?
Kim Joon : I miei lavori sono creati al computer usando programmi di computer-grafica 3D. Uso modelli 3D invece di scatti da corpi reali perché i modelli 3D sono più simili ai dipinti. Utilizzare la computer grafica è attraente proprio perché è al confine tra pittura e fotografia.
Beatrice Benedetti: Come gestisci il copyright sui marchi che ricoprono i tuoi umanoidi digitali? Hai mai sottoscritto accordi con multinazionali come Gucci, Adidas, o BMW?
Kim Joon: Non risale a Andy Warhol la soluzione del problema copyright? Non ho alcun accordo per il copyright dei marchi. Io vedo il mondo attraverso i tatuaggi. Realizzo le mie opere estraendo i tatuaggi impressi nella mia mente. Uno di queste immagini indelebili stampate nella mente sono i marchi di lusso. Dici che forse diventerei più famoso se le griffes mi accusassero di appropriarmi dei loro loghi?
Beatrice Benedetti: Altri artisti contemporanei si servono del tatuaggio per esprimersi. Cosa ti accomuna, o ti distingue ad esempio dai maiali tatuati di Wim Delvoye o dal corpo tatuato di Franko B., che l’artista neutralizza imbiancando e ridipingendo col sangue di ferite autoindotte?
Kim Joon: E’ sempre interessante osservare i lavori connessi al tema del tatuaggio e del corpo. Penso tuttavia che ogni artista comunichi un messaggio differente, legato alla propria mente e alla sua vita "tatuata".
Beatrice Benedetti :Il tatuaggio in Corea è ancora un taboo? Ti è mai capitato di essere testimone o vittima di episodi di intolleranza da parte del governo?
Kim Joon: Se ti riferisci al mio essere artista e lavorare simulando tatuaggi, è chiaro che tutti i miei lavori sono fittizi, basati su immagini generate al computer, quindi non sono mai stato vittima di intolleranza da parte del governo.
In Corea il tatuaggio è ancora un taboo, anche se oggi sta diventando in prevalenza un’espressione culturale per le giovani generazioni. Le cose sono cambiate, soprattutto da quando farsi un tatuaggio è considerato dalla legge alla stregua di un qualsiasi trattamento medico. Quindi, tu puoi eseguire tatuaggi solo se possiedi una licenza medica.
Beatrice Benedetti :Per concludere, sarebbe interessante conoscere ciò che definisci l’aspetto “mentale” e spirituale del tatuaggio.
Kim Joon: Credo che il tatuaggio abbia il potere di amplificare la nostra volontà, come una sorta di auto-ipnosi.
Il tatuaggio è una forma di espressione per comunicare la profonda ossessione e volontà che alberga nella mente di Kim Joon. Più precisamente, per dimostrare la repressione imposta all’individuo dalle convenzioni sociali, l’artista ha iniziato un discorso sul rapporto tra corpo e tatuaggio un taboo legale e culturale in Corea. Nei suoi primi lavori questa sorta di eufemismo nella percezione del tattoo era ottenuto letteralmente riproducendo un tatuaggio su un finto pezzo di carne, fino a divenire col tempo più raffinato nello stile e nell’esecuzione. Motivi tradizionali come nuvole, dragoni e agnelli, memori della tradizione coreana, tanto quanto loghi di lusso hanno iniziato a istoriare il corpo umano come icone di una cultura occidentale e materialistica impresse nella mente di Kim Joon. Per quanto riguarda l’esecuzione, l’artista ha scelto alcune tecniche inedite e innovative di stampa digitale e video, utilizzando l’animazione tridimensionale (3D) per esplorare il territorio tra la massa e l’oggetto del desiderio.
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